22 giugno, 2007

PROMEMORIA 22 giugno 2005 - Dieci ex-ufficiali e sottufficiali tedeschi vengono condannati all'ergastolo per il Massacro di Sant'Anna di Stazzema


L' eccidio di Sant'Anna fu un crimine contro l'umanità commesso dai tedeschi del 16° battaglione SS della 16. SS-Freiwilligen-Panzergrenadier-Division "Reichsführer SS", con a capo il maggiore Walter Reder (1915 - 1980) il 12 agosto 1944 e continuato in altre località fino alla fine del mese.

Agosto 1944. Sant’Anna di Stazzema è un piccolo paese di montagna in provincia di Lucca, in Toscana. La storia parte da una fotografia in bianco e nero, leggermente sfuocata. Ritrae un gruppo di piccoli che giocano festosi davanti al parco della scuola. Cantano e ridono felici, si tengono per mano e compiono un girotondo. Le bambine vestite di bianco, con i grembiuli puliti e i cappellini in testa. I bambini con la camicia, i pantaloni corti e le bretelle.
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Poco prima avevano scritto i loro sogni su fogli di carta. Poche righe, frasi di bambini che vivono spensierati dentro i loro giochi mentre intorno la guerra dei grandi distrugge e divide il mondo.
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Ma il 12 agosto 1944, quei sogni di bimbi vennero infranti da qualcosa più grande di loro, qualcosa che aveva a che fare con la morte e la violenza dei grandi. I razzi illuminarono il cielo di rosso. Poi apparvero i soldati nazisti delle SS. Entrarono a Sant’Anna di Stazzema accompagnati da italiani fascisti in camicia nera. Bruciarono le case e alla fine si contarono 560 morti. In pochissimi riuscirono a sopravvivere da quel massacro.
Se andate a Sant’Anna di Stazzema c’è una lapide nella piazza principale:
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Quella fotografia di bambini che corrono e ridono senza preoccuparsi delle cose del mondo, conserva ancora oggi il senso della storia e della memoria. Ancora oggi, dopo che il tempo è passato. Scriveva Cesare Pavese:
Io non saprei cosa rispondere. Non adesso almeno. Non mi pare che gli altri lo sappiano. Poiché lo sanno unicamente i morti, soltanto per loro la guerra è finita davvero.>>
Sapete quante cose si possono stipare in un armadio? Provate ad immaginare. Un armadio rimasto dimenticato dentro un palazzo del Cinquecento, a Roma, sede della Procura Generale Militare. Un armadio con le ante rivolte verso il muro, chiuse a chiave, protetto da un cancello e da un lucchetto. Nel maggio 1994, alcuni operai stavano compiendo lavori nel palazzo. Si accorsero della presenza di quell’armadio. Lo aprirono e venne fuori ciò che restava della memoria italiana.
695 fascicoli, stipati uno sull’altro. Un registro composto da 2273 voci annotava il contenuto di quel materiale in modo rigoroso, preciso, ordinato. C’erano le testimonianze dei sopravvissuti alle stragi dei nazisti e dei fascisti. C’erano i nomi dei colpevoli. Al numero 1, l’eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma. In testa Herbert Kappler, seguito dai nomi di altri assassini. C’era Erich Priebke e Carl Hass. E c’erano quelli che colpirono a Marzabotto, Fivizzano e a Sant’Anna di Stazzema e in centinaia di paesi e città italiane tra il 1944 e il 1945. Tutto ordinato con una puntigliosità quasi encomiabile in una storia di vera ingiustizia, la più tremenda ingiustizia che un popolo possa subire. Fu una carneficina. Nazisti e fascisti, SS e repubblichini di Salò fecero migliaia di vittime. Gente senza armi, civili in fuga dalla guerra. Per lo più donne, bambini e vecchi, piccoli ancora in fasce. Non furono rappresaglie. La loro esatta definizione è omicidi. Come è stato possibile nascondere per tutto quel tempo una verità così importante e scomoda? Chi ha deciso lo spostamento di quei fascicoli?
Sapete qual’è la verità? Quei fascicoli rimasti sepolti per quasi 50 anni portavano due timbri: Comando alleato e Comando tedesco. Archiviati per sempre in nome del trattato di Yalta e della spartizione del mondo. Un silenzio colpevole dei Governi italiani che si sono avvicendati fino al 1994 e che in nome di quegli accordi hanno tenuto nascosto la storia del paese ai loro cittadini. Ma qualcuno nel 2005 conserva inchieste e processi sulle stragi nazi-fasciste in Italia dal ‘44 al ’45. E’ il Procuratore Capo di La Spezia Marco De Polis. Un giorno mi ha raccontato:
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Le bombe portano messaggi. Spesso sono nascosti, velati, non dichiarati. A volte non vengono neppure compresi. Del resto gli attentati in tempo di pace mettono paura, dividono il Paese, chiudono il dialogo tra le forze politiche e parlamentari, bloccano lo sviluppo di una democrazia compiuta, colpiscono vittime innocenti, fanno sentire tutti più vulnerabili, e soprattutto spengono le luci delle case. Ogni bomba però contiene un’impronta digitale indelebile. Non è sempre agevole giungere al suo Dna ma spesso ci si riesce. Servono laboratori, perizie, professionalità. Ci vuole comunque tempo, pazienza e molta fortuna. Poi quell’impronta lasciata su ogni ordigno diventa un marchio di fabbrica. Il messaggio delle bombe scoppiate in Italia dal 1969 ad oggi è qualcosa di più di una prova. Ora non servono analisi. Basta solo voler capire.
Aula bunker di San Vittore. 30 giugno 2001. La campanella del processo alla storia squilla alle 16,05. In quell’attimo che precede la lettura della sentenza, è come udirle le emozioni che si rincorrono nell’aula. Le speranze dei familiari delle vittime, dell’accusa e della parte civile, le angosce e i dubbi degli avvocati della difesa.
Strage di Piazza Fontana, 12 dicembre 1969, 16 morti, 88 feriti. 32 anni dopo. Il Presidente della seconda Corte d’Assise di Milano, Luigi Martino è un uomo con i capelli grigi. Di cose ne deve aver viste prima di quel processo. Per mesi ascolta neofascisti, uomini legati ai servizi segreti, generali, faccendieri. Martino legge la sentenza.
I militanti di Ordine Nuovo Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni condannati all’ergastolo. Due anni a Stefano Tringali, per favoreggiamento nei confronti di Zorzi. Non luogo a procedere per il collaboratore di giustizia Carlo Digilio.
Eppure solo anni dopo quella sentenza viene ribaltata. I pentiti riconosciuti credibili nel processo di primo grado, ora per i giudici del secondo grado e della Cassazione mentono. Perché a distanza di così tanti anni non si vuole fare luce sulle stragi italiane? Quali verità indicibili sono dietro a quegli attentati?
Mi chiedete fatti e nomi?
Il 12 dicembre 1969 esplode una bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano, 16 morti e 88 feriti. Un’altra viene collocata nella sede della Banca Commerciale. Possiede le stesse caratteristiche della prima ma non scoppia. Altri ordigni vengono piazzati nel passaggio sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro a Roma. Tredici feriti. Bombe di elevata potenza colpiscono l’Altare della Patria e l’ingresso del Museo del Risorgimento a Roma. Quattro feriti. Gli inquirenti indirizzano le indagini verso gli anarchici. Ottanta fermati e arrestati. Tra loro ci sono il ferroviere Giuseppe Pinelli e il ballerino Pietro Valpreda. Pinelli cade dal quarto piano della Questura di Milano durante un interrogatorio. Anni dopo i giudici scriveranno che Pinelli fu colpito da un malore attivo. Che coraggio….Valpreda viene rinchiuso in carcere fino al 1972. Innocente. Passano gli anni e la magistratura imbocca la pista giusta. Le valigette che contengono l’esplosivo del’69 sono state acquistate da Franco Freda e Giovanni Ventura, fascisti di Padova. Emerge un piano che deve sfociare in un tentativo di colpo di Stato militare.
E qualcuno lo organizza davvero, la notte dell’8 dicembre 1970. E’ il principe Junio Valerio Borghese.
Il 22 luglio 1970 esplode una bomba sul treno Freccia del Sud a Gioia Tauro ma gli inquirenti dicono che è stato un incidente. Non si faranno indagini fino al 1993. La bomba è stata invece collocata da due criminali calabresi simpatizzanti del MSI.
E ancora. 31 maggio 1972. Vincenzo Vinciguerra è un militante di Ordine Nuovo. Organizza un attentato contro i carabinieri. Chiama i militari al telefono: sta andando a fuoco una macchina. I carabinieri giungono a Peteano di Sagrado. Si avvicinano ad una cinquecento imbottita di tritolo. Aprono la portiera ..tre carabinieri saltano in aria.
7 aprile 1973. Il fascista Nico Azzi si fa scoppiare tra le gambe un ordigno sul treno Torino-Roma. Alcuni testimoni lo avevano visto girare tra le carrozze con in mano una copia del quotidiano Lotta continua.
17 maggio 1973. Gianfranco Bertoli, vi ricordate dice di essere anarchico ma appartiene ai servizi segreti. Lancia una bomba a mano davanti alla Questura di Milano. 4 morti.
Mi avete chiesto fatti e nomi. Scrive il neofascista Vincenzo Vinguerra, vi ricordate, reo confesso della strage a Peteano di Sagrato,in Friuli. Scrive qualcosa che oggi possiamo solo sussurrare, ma non gridare ad alta voce.
Allora sussurriamo........
“ Le stragi che hanno insanguinato l’Italia a partire dal 1969, appartengono ad un’unica matrice organizzativa. Tale struttura obbedisce ad una logica secondo cui le direttive partono da Apparati inseriti nelle Istituzioni e per l’esattezza in una struttura parallela e segreta del ministero dell’Interno.”.
Mi avete chiesto fatti e nomi, eh…Adesso tutto è più chiaro?
Brescia, 28 maggio 1974. Il cielo non promette nulla di buono. Entrano in Piazza della Loggia diecimila sindacalisti, operai, studenti, disoccupati, giovani e vecchi, volti di gente comune. I manifestanti attendono un cenno, un gesto il segno di una civile protesta contro una violenza che dura ormai da settimane. Lo hanno giurato: quegli attentati, quelle bombe devono proprio finire. Parla Franco Castrezzati della Cisl. Sono le 10 e 12 minuti. La pioggia inizia a battere fitta su mille ombrelli aperti, sugli impermeabili, sui giubbotti. Le sue saranno parole ingoiate di traverso.
“Amici e compagni, lavoratori, studenti, siamo in piazza perché questi ultimi tempi una serie di attentati di chiara marca fascista ha posto la nostra città all’attenzione preoccupata di tutte le forze antifasciste. Sono così venuti alla luce uomini di primo piano che hanno rapporti con gli attentatori di Piazza Fontana e del direttissimo Torino- Roma, vengono pure alla luce bombe, armi, tritolo, esplosivi di ogni genere. Ci troviamo di fronte a trame intessute segretamente da chi ha mezzi e obietti precisi. A Milano…. State fermi…state calmi, state calmi. State all’interno della piazza, il servizio d’ordine faccia cordone intorno alla piazza, state all’interno della piazza. Invitiamo tutti a portarsi sotto il palco, venite sotto il palco, state calmi, lasciate il posto alla Croce Bianca, lasciate il passo, lasciate il passaggio delle macchine, tutti in piazza della Vittoria, tutti in piazza della Vittoria”.
Piazza della Loggia, 28 maggio 1974. Otto morti. Novantaquattro feriti, alcuni gravi. Cinque insegnanti, due operai, un pensionato. Neanche un sorriso, un sospetto, una parola, nemmeno una frazione di tempo, quanto basta per accorgersi che in un cestino dei rifiuti, sotto i portici della piazza, c’è chi ha piazzato poco prima un ordigno di alto potenziale. Alla fine moriranno sul colpo, nel giorno in cui dalla polvere nera e giallastra c’è chi vede perfino volare una bicicletta. Va su, verso il cielo, sembra uno strano mostro di metallo. Si alza oltre lo sguardo delle persone, poi si schianta sull’asfalto.
80 chilometri separano Firenze da Bologna. In treno sono circa un'ora di cammino ma durano un’eternità. Ci puoi vedere un mondo dentro quelle lunghe gallerie, spesse di un buio intenso. Alla fine di un tunnel ce n’è un’altro ancora. Da Vernio a San Benedetto Val di Sambro c’è una galleria, diciotto chilometri, la più lunga d’Italia.
Il 4 agosto 1974 era una giornata di sole, di caldo. Io ero al mare, seduto su una sdraio. Guardavo l’orizzonte lontano, c’era chi faceva il bagno, chi leggeva, qualcuno ascoltava la radio. E in quell’agosto di 30 anni fa, un brano musicale venne interrotto bruscamente e andò in onda la sigla dell’edizione straordinaria del giornale radio. Dentro un vagone di seconda classe è scoppiata una bomba ad alto potenziale. E’ accaduto proprio nel tunnel ferroviario di San Benedetto Val di Sambro. 12 morti e un centinaio di feriti.
Quel giorno nessuno entrò più in acqua, mio padre si mise le mani nei capelli e iniziò a fumare, i bambini smisero di gridare. Un lungo silenzio.
Per la strage sul treno Italicus, a oggi non vi é ancora giustizia alcuna.
Ci sono silenzi così pieni di rumori che spesso si annullano a vicenda. Frasi, azioni, gesti, sguardi, la vita si è congelata, ibernata, come quelle statue di gesso che non hanno colore, stanno lì immobili, ti guardano, non hanno più un’anima ma parlano. Cosa contengono due minuti di tempo dopo una strage? Ci sono silenzi in cui le parole non dette suonano ancora più forte. Frasi che risuonano nella testa, chiare e rotonde, pizzicano in gola, sul fondo della lingua, premono forte sulla laringe e schioccano, sonore e senza voce, contro il palato. Silenzi in cui le parole si trasformano in urla soffocate. Come vite sospese che non sono più corpo e spazio. D’inverno, ci sono mattine fredde e livide in cui un urlo è più acuto e veloce di un giorno di nebbia fitta. D’estate ci sono certe giornate di primo agosto, limpide, calde, dove non c’è ragione perché un urlo non possa fare lo stesso. E sul mare, quando il sole si riflette sull’acqua, sulla spiaggia giungono le voci di barche lontane alcune miglia, un urlo corre sul riverbero e salta come i sassi lanciati sulle onde. Quell’urlo lontano, straziante, indifeso, giunge come un fischio acuto. E compie il giro del mondo. In molti lo percepiscono, forte e chiaro, potente come una bomba. Nulla sarà più uguale a prima.
2 agosto 1980, stazione di Bologna. Sergio Secci ha 24 anni. La sera prima telefona ai suoi genitori, Torquato e Lidia: "Stasera sono a una festa. Domani vado su in Alto Adige, a Bolzano, prendo l'espresso delle 8,18 a Bologna". Ha la voce tranquilla, distesa, calma ma quel giorno Sergio non riesce a prendere il treno. Uno stupido ritardo di pochi minuti. Si reca all’ufficio informazioni e scopre che un altro convoglio sta per arrivare. E’ annunciato alle 10,50. Attende la sua coincidenza.
Anche Roberto Procelli è a Bologna. Viene da San Leo di Anghiari,Arezzo. E’ partito soldato. 121 Battaglione di artiglieria a Bologna. Ora si trova lì, sotto la pensilina, ad aspettare il suo treno di ritorno. Si mette sotto il vecchio orologio della stazione. Lancette che segnano il tempo, e treni in arrivo, e nuove partenze.
Lo può vedere quel fiume di gente, di treni in transito che si intersecano lungo binari affollati, di grida di venditori di panini e bibite. Del resto è il 2 agosto e un Paese vuole andare al mare. Le carrozze sono stipate fino all’inverosimile. C’è chi entra dalle porte. Enormi valige passano dentro a pochi centimetri di finestrini aperti. Una ressa. In biglietteria c’è una coda che non si vedeva da tempo, tutti spingono, i posti sono pochi, chi ha prenotato, chi non avrà mai un biglietto quel giorno.
I bambini non conoscono le regole degli adulti. Figuriamoci in una stazione d’agosto, in mezzo a quel chiasso è come sentirli. Scappano, si nascondono poi si riprendono e si rincorrono. Una danza che può andare avanti fino all’infinito. "Dai.....non mi prendi....non sai correre". I genitori non riescono proprio a tranquillizzarli. Ci sono i fratelli danesi Eckhardt, 14 anni e Kai Mader ,8 anni, un bambinone dalla faccia tonda. Margherete Mader, 39 anni, è la loro madre. I bambini corrono....corrono....senza sosta.
Nella sala entra un uomo con una borsa-valigia in mano, di quelle con la cerniera e piedini metallici. Si guarda intorno, tutti parlano, fumano, leggono. Non badano a quello che accade. Non prestano granché attenzione. Nessuno lo vede, nessuno lo scorge tra tanti volti. Un sospetto, una circostanza, una testimonianza. Niente. L’uomo piazza la valigia sul tavolino portabagagli, a cinquanta centimetri dal suolo, accanto al muro portante della sala, il timer è già azionato, puntato su dei numeri, 10,25.
Dieci minuti. Poi la strage. Venti, venticinque chilogrammi di esplosivo gelatinato Compound B, di tipo militare, compresso in una valigia, di aspetto normale. 10,25. Un vento forte spazza via ogni cosa, un tornado violento, più forte di un terremoto, qualcosa che ha il sapore della morte e di cose bruciate, di vecchi boati, e urla, e grida, polvere, fumo, odore di braccia. Una sala d’aspetto di seconda classe si è sbriciolata come fanno quei castelli di sabbia quando c’è l’alta marea, è entrata in quella di prima classe e ha travolto ogni cosa.
Centinaia di metri cubi di terra, travi lunghe duecento metri, pensiline in acciaio, traversine, sassi, binari troncati di netto, frammenti di rotaie, enormi blocchi di cemento armato ridotti a minuscoli pezzetti, con dentro uomini, donne, bambini, ragazzi, anziani, due carrozze del treno straordinario 13534 Ancona-Basilea, il ristorante Cigar, e ancora speranze, discorsi, progetti, sogni di una vacanza promessa solo per un’estate. Un onda lunga di tutto questo si é riversata in meno di un secondo nella piazza della stazione, verso il binario 1, infilata laggiù nel sottopassaggio. Un mondo compatto, fatto di cose e persone che poco prima erano vive, è venuto giù, sfaldato e si è dissolto. E in quel macello l’orologio si è fermato. 10,25. 85 morti, 200 feriti.
Strage alla stazione di Bologna. Sentenza della Corte di Cassazione.
Ergastolo per i neofascisti dei Nar Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. Sette tribunali accertano che sono gli autori della strage. Dai 7 ai 10 anni di carcere per il capo della loggia P2 Licio Gelli, il faccendiere Francesco Pazienza, i vertici del Sismi, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte. Sono i personaggi che hanno depistato le indagini.
Provate a chiedermi dove sono queste persone…
Oggi sono tutti sostanzialmente liberi
23 dicembre 1984. Manca poco a Natale.
Il Rapido 904 corre lungo la tratta Napoli-Milano. Gli scambi incrociano i binari, poi li separano e ancora li incrociano. Tu tu tu tum
Le carrozze sono stracolme di persone. Le valige non si riescono nemmeno a contare. Invadono i corridoi, fin quasi dentro i bagni. Ci sono i sacchetti con i regali impacchettati. Ci sono i salumi, i formaggi del Sud, il pane buono, quello fatto in casa, i dolci poche ore prima sfornati. Nei portafogli qualcuno porta le fotografie dei nipotini e dei figli più grandi da mostrare orgogliosi ai parenti lontani. I bimbi più piccoli piangono. Le madri li accarezzano di poco accanto.
Chi legge, chi dorme, chi guarda fuori dai finestrini appannati. Tu tu tu tum
Il Rapido 904 é come un mulo, solo le stazioni e i semafori rossi possono fermarlo. Di chilometri ne deve avere macinati tanti prima di quella sera.Tu tu tu tum
Alla Stazione di Firenze le porte si aprono e si chiudono. L'altoparlante annuncia un lieve ritardo ma tutto sembra normale in quella tranquilla serata di fine dicembre. Nessuno, proprio nessuno nota un uomo sulla quarantina con in mano una grande valigia. Buon natale..Buon natale….Soprattutto buon viaggio....La deposita in fretta nella carrozza e svanisce nel nulla. Il treno riparte. Sono le 18,35. Tu tu tu tum
Il treno lascia la stazione di Firenze Santa Maria Novella, sfiora Prato con i capannoni del tessile e si avvia verso il tratto appenninico. Il sole é già tramontato da due ore. In alcuni scompartimenti c'é chi ride e chi discute di calcio e di politica. A tratti intermittenti, la luce fa affiorare paesaggi montani che sanno di terra incolta, pascoli liberi, cascinali. Tu tu tu tum
Il Rapido 904 sembra inarrestabile. Alle 18,55 imbocca la galleria tra Vernio e San Benedetto Val Di Sambro. Dentro il tunnel, il buio é intermittente. Ogni cento metri le luci delle fotoelettriche rendono tutto più inquietante. Le 19,08. Tu tu tu tum
Il comando a distanza innesta l'esplosivo contenuto nella grande valigia posta nella carrozza centrale del Rapido 904 Napoli-Milano. La forza d'urto é impressionante. La deflagrazione crea uno squarcio enorme nel vagone. La gente urla come impazzita, apre le portiere, si incammina a piedi lungo la galleria, qualcuno si inerpica perfino lungo la scalinata che dal tunnel porta quasi al paese di San Benedetto Val Di Sambro. Alla fine si conteranno 15 morti, 267 feriti.
Si ma chi erano?
Erano vittime innocenti. Nomi di persone comuni, colpite mentre compivano gesti usuali, quotidiani. Nomi e cognomi, messi in fila uno dopo l'altro, servono a ricordarci che la memoria a volte ritorna e lascia tracce spesso indelebili.
“………3,7,6,8,14,16,19,20,21,23,24,44,66,72. Anni vissuti che non sono numeri per statistiche. Scoprono che quella targa ha un'anima e a volte parla. Quelle parole spezzate è come se volassero. Ancora oggi, dopo che il tempo ha fatto il suo corso. Intorno a Bologna i treni compiono gli stessi percorsi. Sul primo binario c'é un signore con il grembiule bianco che vende panini e caffè. La locomotiva decelera, frena, si ferma, scarica passeggeri mentre altri rimangono affacciati al finestrino. Proprio come il 2 agosto 1980. Se ti metti dall'altra parte del vetro della sala d'aspetto puoi osservare i volti di chi passa veloce e di quanti si fermano e ricordano. Laura è un'insegnante di Modena. Tiene per mano due bimbi. Quel viaggio è una promessa mantenuta. Sull'Appennino Tosco-Emiliano, a Porretta Terme c'è un campeggio. I bambini scendono dal treno e Laura li porta a bere al bar. Quaranta minuti li separano dalla coincidenza con il locale Bologna-Firenze. Passano cantando davanti a quella lapide ma Laura si ricorda che oggi è il 2 agosto. E si mette proprio davanti a quella lista di nomi che non ci sono più e che non ha mai conosciuto. Ales, Alganon, Avati, Barbaro, Basso, Bandouban, Bergianti, Bertasi, Betti, Bianchi, Bivona, Bonora, Bugamelli, Burri........ Sono 85 i morti della strage. A quei bimbi che vanno in vacanza, Laura racconta:
"Era un giorno d'agosto proprio come oggi. Qui c'erano centinaia di persone che andavano in vacanza, come noi adesso. A un certo punto lo scoppio di bomba li ha travolti, uccisi. Molti di loro erano bimbi, come voi".
I due fanciulli la stanno ad ascoltare, in silenzio, impietriti. Uno si mangia le unghie, l'altro guarda verso i binari. Per pochi secondi hanno la sensazione di non essere immortali. Laura rimane ancora sotto la pensilina del primo binario ma l'altoparlante annuncia il treno per Firenze. Così prende i bambini e se ne va. Spariscono dietro all'angolo dell'ala della stazione dove partono i treni locali. Almeno Laura ha gli occhi della memoria”.
Alla memoria delle vittime di tutte le stragi
Per non dimenticare

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