20 settembre, 2007

PROMEMORIA 20 settembre1870 -


Le truppe del Regno d'Italia (Bersaglieri) entrano in Roma attraverso la Breccia di Porta Pia, ponendo così fine allo Stato della Chiesa. La capitale d'Italia passa da Firenze a Roma

La presa di Roma (20 settembre 1870) comportò l'annessione di Roma al Regno d'Italia e rappresenta quindi l'ultimo atto dell'unificazione nazionale. Con la presa di Roma si sancì la definitiva fine del potere temporale dei pontefici romani.
I fatti
Alcuni giorni prima dell'attacco una lettera redatta dal re Vittorio Emanuele II venne consegnata a Papa Pio IX. Con l'epistola, in maniera velata e discreta, si avvisava dell'imminente attacco che un reparto dell'esercito italiano stava per portare all'Urbe. Si narra che il Papa leggendone il contenuto sia rimasto profondamente turbato e che addirittura sia sbottato in uno scatto d'ira e che abbia dichiarato veementemente a chi intorno: "Non entreranno! ".
Dopo tre giorni di inutili attese (durante i quali si attese invano la dichiarazione di resa), la mattina di quel giorno (intorno alle nove) l'artiglieria dell'esercito italiano, guidato dal generale Raffaele Cadorna, aprì una breccia di circa trenta metri nelle mura delle città, accanto a Porta Pia, che consentì a due battaglioni (uno di fanteria, l'altro di bersaglieri) di occupare la città.
Pare che mentre la prima squadra di bersaglieri varcasse la breccia, già il generale papalino Kanzler fosse presso il quartier generale di Cadorna per trattare una pacifica resa.
Il Papa tuttavia condannò aspramente quell'atto di prepotenza con cui la Curia Romana vide sottrarsi il secolare dominio su Roma. Egli infatti si ritirò nel Vaticano rifiutando di riconoscere il nuovo stato e dichiarandosi, fino alla morte, " prigioniero politico ". Anche quando il parlamento italiano approvò la Legge delle Guarentigie in data 13 maggio 1871, il ponteficie rimase intransigente e restio a qualsiasi compromesso con l'Italia, se non quello di riavere in mano Roma. Questa situazione, indicata come " Questione Romana ", perdurò fino ai Patti Lateranensi del 1929.
Considerazioni storiche
Nonostante l'alto valore storico (la fine dello Stato Pontificio e del potere temporale del papato, nonché la riunificazione di Roma all'Italia), dal punto di vista militare l'operazione non ha un particolare rilievo. La assai debole resistenza opposta dallo scalmanato esercito papalino (complessivamente 15.000 uomini tra cui: guardie svizzere, volontari provenienti per lo più da Francia, Austria, Paesi Bassi, Spagna, ma soprattutto mercenari Zuavi e Turchi) al comando dal generale Kanzler, ebbe in particolare valore simbolico.
Sulle ragioni per cui Pio IX non esercitò un'estrema resistenza sono state fatte varie ipotesi: si pensa che il papa tendesse a figurare come aggredito per avere il supporto francese, tuttavia venuto a mancare dopo la sconfitta di Sedan e la conseguente caduta di Napoleone III; oppure, che Pio IX si sarebbe trovato impreparato all'attacco perché in mezzo a una trattativa diplomatica con il Regno d'Italia per una risoluzione pacifica della c.d. "Questione romana". Infine, si è anche ipotizzato che di fronte all'avanzata dell'esercito italiano, si sia decisa la resa opponendo una resistenza solo simbolica.
Più accreditata l'ipotesi della rassegnata volontà del Vaticano di mettere da parte ogni ipotesi di una violenta risposta militare all'offesa. È infatti noto che l'allora segretario di stato, Cardinale Giacomo Antonelli, abbia dato ordine al generale Kanzler, di ritirare le truppe entro le mura e di limitarsi ad uno smotivato e apparente atto di resistenza.
Secondo la descrizione di Antonio Maria Bonetti (1849-1896), caporale dei Cacciatori Pontifici:
« Stavamo sulle righe, quando alcune voci sulla Piazza di San Pietro gridarono: "Il Papa, il Papa!". In un momento, cavalieri e pedoni, ufficiali e soldati, rompono le righe e corrono verso l'obelisco, prorompendo nel grido turbinoso e immenso di: "Viva Pio IX, viva il Papa Re!", misto a singhiozzi, gemiti e sospiri. Quando poi il venerato Pontefice, alzate le mani al cielo, ci benedisse, e riabbassatele, facendo come un gesto di stringerci tutti al suo cuore paterno, e quindi, sciogliendosi in lacrime dirotte, si fuggì da quel balcone per non poter sostenere la nostra vista, allora sì veruno più poté far altro che ferire le stelle con urla, con fremiti ed esecrazioni contro coloro che erano stati causa di tanto cordoglio all'anima di un sì buon Padre e Sovrano. »

Soddisfazione popolare
Contraddittorie, incerte, ma in gran parte sicure sono le numerose testimonianze che dimostrerebbero un forte compiacimento del popolo romano ad un evento che sancì la definitiva fine del potere temporale e la caduta del dispotico governo della Curia romana. Numerose infatti furono le manifestazioni di giubilo e di affetto che i soldati italiani videro tributarsi durante la marcia verso Roma e nella stessa città.
Ad ulteriore dimostrazione della soddisfazione che il popolo dell'Urbe dimostrò per la fine del dominio papale e la vittoria dei soldati italiani, esistono gli esiti del plebiscito del 2 ottobre 1870 che sancì l'annessione di Roma all'Italia; i risultati videro la schiacciante vittoria dei sì, circa 40.000, a fronte dei no che furono solo 46.

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