13 gennaio, 2008

PROMEMORIA: 13 Gennaio 1998 - Lo scrittore siciliano omosessuale Alfredo Ormando si dà fuoco a Roma in Piazza San Pietro per protesta contro la Chiesa



Alfredo Ormando, poeta siciliano gay, si diede fuoco il 13 gennaio del 1998 a San Pietro per denunciare l'omofobia delle gerarchie vaticane. Seguendo l'insegnamento di Ugo Foscolo - che vede i morti risorgere nel ricordo dei vivi - immaginiamo che Ormando torni tra noi grazie alle manifestazioni e ai convegni organizzati in sua memoria per costruire il dialogo tra le religioni e l’omosessualità (consulta scheda a fianco). Il testo che segue è stato pensato in prima persona e con il tempo presente per dare a Ormando, che amava la scrittura più di se stesso, la carezza di una parola che vive ancora oggi. Per rappresentare la forza laica della memoria di dare la vita, anche se il corpo non c'è più. È stato scritto anche grazie ai documenti messi a disposizione da Massimo Consoli e Piero Montana, che ringraziamo.

«La parola è stata per me sempre salvezza e conforto, eppure l'esperienza di non vederla ascoltata mi ha fatto sentire sconfitto. Voi cari fratelli e sorelle che il 13 gennaio vi siederete per terra sulla piazza antistante San Pietro per ricordarmi diventate il respiro lontano dei miei versi. Ho scritto nel mio romanzo “Sotto il cielo d'Urano”: “Perché devo vivere? Non trovo una sola ragione perché io debba continuare questo supplizio… Nell'aldilà a nessuno farò drizzare i capelli e arricciare il nasino perché sono un omosessuale… Non capisco questo accanimento. Non svio nessuno dalla retta via dell'eterosessualità, chi viene a letto con me è maturo, cioé adulto consenziente e omosessuale o bisessuale... È da quando avevo dieci anni che vivo nel pregiudizio e nell'emarginazione, ormai non riesco più ad accettarlo, la misura è piena”. Da allora in questa nostra Italia si è fatta strada, grazie a una operazione di nuova comunicazione, una possibile accoglienza dell'omosessualità. Anche se non ci sono leggi ancora, è pur vero che un certo ostracismo senza appello da parte della comune opinione è diventato meno frequente. Resta il giudizio aspro delle gerarchie cattoliche. Ma voi che ricordate il mio suicidio, continuate a farmi vivere non rendendo vano il mio gesto. Non è stato vano se voi mi tenete ancora nei vostri cuori. Non è stato vano se ancora oggi nei cuori di tanti credenti cattolici gay e lesbiche è presente un conflitto lacerante tra il giudizio espresso dai sacerdoti della loro fede e l'amore per il compagno o la compagna dello stesso sesso. Come ho scritto, “nessuno è più malvagio di chi spinge un uomo buono a essere l'assassino di se stesso”. Io sono con il mio esempio ciò che non deve succedere mai più. Con il sit- in in Piazza San Pietro manifestate il bisogno vitale del rispetto. E dopo, da due anni ormai, organizzate un convegno cercando di instaurare il dialogo. Io vi amo per questa offerta che fate di voi, per questo vostro proseguire il senso profondo del mio suicidio. Non ero stato mai ascoltato, lo fui solo dandomi fuoco. Tutto il mio corpo divenne parola. Ora la mia parola siete voi. E tra voi ci sono tanti giovani, che forse come me hanno subito fin da piccoli il peso del pregiudizio, ma che hanno la forza di reagire perché non sono più soli. I fratelli dell'Arcigay che hanno organizzato il convegno hanno chiamato l'Unione dei giovani ebrei d'Italia, i giovani musulmani, i gay evangelici dell'associazione “Refo”. I ragazzi di Iglyo, organizzazione che opera in tutta Europa, hanno dato il patrocinio. L'avete chiamata “giornata mondiale per il dialogo tra le religioni e l'omosessualità”. Ho sempre amato il dialogo sotterraneo che lo scrittore intreccia con l'anima collettiva. I buddisti gay riescono a dialogare con i loro sommi sacerdoti, così parte degli evangelici. I cattolici al momento no. Spesso, saltando il rapporto con le gerarchie, vivono Dio nel silenzio, nelle tante mani tese dei cuori sacri che si aprono alle sofferenze del mondo. Voi, incontrandovi, desiderate vivere in una grande famiglia di amici dei sentimenti, in cui nessuno si senta solo. Prima di morire avevo scritto da Palermo a un amico di Reggio Emilia: “Se avessi avuto un paio di amici come te qui, avrei accettato di buon grado la mia vita”. L'amicizia è un bene inestimabile. Voi la state alimentando, con coraggio e resistenza. Dopo il rogo di me stesso, nei dieci giorni passati tra atroci dolori che hanno preceduto la mia fine, ho detto: “Non sono neanche riuscito a morire”. Oggi dico: grazie a voi che mi tenete in vita nel ricordo non posso morire. Voi siete la mia religione».

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