27 febbraio, 2008

PROEMEMORIA 27 febbraio 1593-Giordano Bruno è incarcerato nel palazzo del Sant'Uffizio a Roma


Giordano Bruno (Nola, 1548 – Roma, 17 febbraio 1600) è stato un filosofo, scrittore e frate domenicano italiano, condannato al rogo dall'Inquisizione cattolica per eresia.
Il processo e la condanna

Naturalmente Bruno sa che la sua vita è in gioco e si difende abilmente dalle accuse dell'Inquisizione veneziane: nega quanto può, tace, e anche mente, su alcuni punti delicati della sua dottrina, confidando che gli inquisitori non possano essere a conoscenza di tutto quanto egli abbia fatto e scritto, e giustifica le differenze fra le concezioni da lui espresse con i dogmi cattolici con il fatto che un filosofo, ragionando secondo «il lume naturale», può giungere a conclusioni discordanti con le materie di fede, senza dover per questo essere considerato un eretico. A ogni buon conto, dopo aver chiesto perdono per gli «errori» commessi, si dichiara disposto a ritrattare quanto si trovi in contrasto con la dottrina della Chiesa.

L'Inquisizione romana chiede però la sua estradizione, che viene concessa, dopo qualche esitazione, dal Senato veneziano: il 27 febbraio 1593 Bruno è rinchiuso nelle carceri del Palazzo del Sant'Uffizio. Nuovi testi, per quanto poco affidabili, essendo tutti imputati di vari reati dalla stessa Inquisizione, confermano le accuse, aggiungendone di nuove.

Interrogato anche sotto tortura, Giordano Bruno non rinnegò i fondamenti della sua filosofia: ribadì l'infinità dell'universo, la molteplicità dei mondi, la non generazione delle sostanze - «queste non possono essere altro che quel che sono state, né saranno altro che quel che sono, né alla loro grandezza o sostanza s'aggionge mai, o mancarà ponto alcuno, e solamente accade separatione, e congiuntione, o compositione, o divisione, o translatione da questo luogo a quell'altro» - il moto della Terra, dotata di un'anima, la natura angelica delle stelle, il non essere l'anima la forma del corpo; come unica concessione, è disposto ad ammettere l'eternità e immortalità dell'anima umana.
Roma, Campo de' Fiori
Roma, Campo de' Fiori

Il 12 gennaio 1599 è invitato ad abiurare otto proposizione eretiche, nelle quali si comprendevano la sua negazione della creazione divina, dell’immortalità dell’anima - che egli nega altresì essere la forma del corpo - la sua concezione dell’infinità dell’universo e il movimento della Terra, dotata anche di anima, e di concepire gli astri come angeli; la sua disponibilità ad abiurare, a condizione che le proposizioni siano riconosciute eretiche non da sempre ma solo ex nunc, è respinta dalla Congregazione dei cardinali inquisitori, della quale il Bellarmino è l'anima. Il 10 settembre è ancora pronto all'abiura, ma il 16 cambia idea e infine, dopo che il Tribunale ha ricevuto una denuncia anonima che accusa Bruno di aver avuto fama di ateo in Inghilterra e di aver scritto il suo Spaccio della bestia trionfante direttamente contro il papa, il 21 dicembre rifiuta recisamente ogni abiura, non avendo, dichiara, nulla di cui doversi pentire.

L'8 febbraio 1600 è costretto ad ascoltare inginocchiato la sentenza di condanna a morte per rogo; si alza e ai giudici indirizza la storica frase: «Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam» («Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla»).

Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il crocefisso, il 17 febbraio, con la lingua in giova, la bocca serrata da una morsa perché non possa parlare o lanciare maledizioni, muore bruciato in Campo de' Fiori, dove dal 9 giugno 1889 s'innalza il monumento a lui dedicato, opera del Gran Maestro della Massoneria Ettore Ferrari.

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