03 novembre, 2009

PROMEMORIA 3 novembre 1706 - Terremoto di Sulmona del 1706


Terremoto di Sulmona del 1706.
Il Terremoto di Sulmona del 1706, o Terremoto del 1706, è uno dei più disastrosi terremoti dell'Italia centro-meridionale e il più disastroso, tra quelli catalogati, per la Valle Peligna. L'epicentro era sul versante aquilano della Maiella.

Il terremoto del 1703 come segno premonitore

Il disastroso terremoto aquilano del 1703 (che causò crolli anche a Sulmona) fu praticamente un segno premonitore per il sisma del 1706, appena tre anni dopo. Tuttavia non si è ancora trovata la faglia responsabile di tale evento, anche se molti tendono ad escludere quella del Morrone, visibile da Sulmona. L'ultimo evento sismico accertato che interessò questa faglia è databile intorno al I secolo d.C. Comunque il tempo di ritorno, ossia il tempo che intercorre tra un sisma disastroso e l'altro è, come per la maggioranza delle faglie appenniniche, di circa 1000-2000 anni. Tuttavia può accadere che una faglia influenzi quella adiacente, sia in bene che in male, causando o una riduzione o un aumento dello "stress sismico", per cui si potrebbe anticipare o ritardare un evento, ma di poco in quanto la faglia deve avere già accumulato un notevole sforzo. In realtà la correlazione 1703-1706 è stata un caso unico della storia sismica abruzzese.

Descrizione
Il Terremoto del 1706 fu il primo terremoto di cui si hanno precise fonti a colpire direttamente la Valle Peligna. I terremoti avvenuti precedentemente all'interno del bacino risalivano al I secolo d.C. e in epoche preistorica, di cui non si hanno fonti, ma solo effetti paleosismici. Infatti, nei secoli precedenti, i violenti terremoti che avevano scosso l'Abruzzo avevano avuto spesso come epicentro l'aquilano o le zone limitrofe, facendosi sentire comunque anche sul Morrone (ad esempio, nel 1456 un terremoto rese pericolante la chiesa di San Francesco della Scarpa a Sulmona, nel 1461 un altro terremoto la fece crollare). Nel caso del 1706, a parte il terremoto aquilano, non ci fu nessun altra scossa, nessun sciame sismico, e seppure vi fosse stato, i documenti non riportano nulla (da ricordare che gli Archivi di Sulmona andarono distrutti nel terremoto e solo pochissimo si salvò). Le scosse furono due: la più forte fu proprio la prima.
La prima scossa si verificò alle 13.00 del 3 Novembre. L'esatto orario fu stabilito durante un convegno tenutosi a Sulmona il 3 Novembre 2006 nel 300° anniversario del terremoto, mettendo a tacere le precedenti fonti che ritenevano il terremoto avvenuto a tarda sera, tra le 21.00 e le 22.00 [3]. I giorni precedenti erano passati tranquilli: il 1 Novembre fu celebrata la festa di Ognissanti e l'Arciconfraternità della Trinità a Sulmona organizzò la tradizionale processione che dalla loro chiesa andava al cimitero e poi tornava indietro. Il 2, invece, alla Commemorazione dei Defunti vi furono rituali famigliari diffusissimi in Abruzzo come omaggio ai propri cari deceduti. La scossa del 3 Novembre sorprese la popolazione, intenta a pranzare o a fare un riposo pomeridiano: pochissime persone avevano idea di fare una passeggiata, anche perché da questi Novembre è un mese molto freddo e all'epoca non c'era tutta la protezione attuale. L'epicentro era in una zona prossima alla Maiella, molto probabilmente nei pressi di Campo di Giove, pittoresco borgo a pochi chilometri da Sulmona. Durò circa 15-20 secondi, il tempo di un Pater Noster come scrive Antonio De Nino nella sua Vecchia Sulmona[4]. La devastazione fu quasi totale: Campo di Giove interamente distrutta, Sulmona fu devastata e rimase il centro più terremotato, in tutti i piccoli borghi della Valle Peligna vi furono danni enormi (crolli, edifici inagibili ecc....). Il terremoto provocò danni nelle zone limitrofe e si fece sentire fino a L'Aquila (dove comunque non vi fu nulla, visto che gli edifici erano già crollati nel terremoto del 1703 e si era da poco iniziata la ricostruzione); danni gravi, spesso crolli, si registrarono nelle attuali province di Pescara e Chieti (all'epoca Abruzzo Citeriore). Il sisma fu distintamente avvertito anche nell'allora "Stato di Atri" fino alle Marche, non provocando comunque danni. Anche in Molise e Lazio si fece sentire, a volte provocando qualche danno. I morti, nella sola Sulmona, ammontarono a 1000 circa, un numero comunque "piccolo" se paragonato al numero degli abitanti, 9.000-10.000. Nelle altre città i morti superarono spesso il centinaio, anche se non per tutti abbiamo relativa documentazione.
La seconda scossa avvenne alle 3.00 del 4 Novembre: questa volta l'epicentro si spostò un po' più a sud e diminuì anche l'intensità, ma comunque fu anch'essa distruttiva: quelle località dove la prima scossa aveva provocato già danni gravi, crollarono totalmente o parzialmente a causa di questa seconda scossa. Le zone maggiormente colpite furono le zone della Maiella e quelle lungo il versante chietino del Morrone. La seconda scossa provocò danni anche in altre zone dove la prima scossa si era sentita ma non aveva fatto granché. Anche il numero dei morti aumentò. Nella seconda scossa, comunque, la zona peligna non ebbe nulla visto che il terremoto delle 13.00 aveva già provocato morte e distruzioni.

Danni, vittime e feriti
I danni maggiori li patì l'Abruzzo, specialmente come già detto la Valle Peligna. Danni gravi si registrarono comunque anche nel Lazio, nel Molise e parzialmente anche nella Capitanata (nord della Puglia).
Sulmona: non fu completamente distrutto, ma risultò il centro maggiormente colpito: fu perduto più di 3/4 del patrimonio edilizio, facendo scomparire anche quegli edifici che avevano fatto meritare alla città l'appellativo di Siena degli Abruzzi o Siena d'Abruzzo[5] per aver avuto uno sviluppo culturale pari a quello di Siena. A causa della gran polvere che si alzò, all'inizio non ci si rese conto dell'immane disastro che segnò profondamente la storia della città. Solo dopo ci si accorse che Sulmona era ridotta a cumuli di macerie, con qualche edificio scampato miracolosamente ma comunque sempre danneggiato. Crollarono la Cattedrale di San Panfilo, di cui rimase solo la facciata,il Palazzo Vescovile, la chiesa del Complesso della Santissima Annunziata, le chiese di San Francesco della Scarpa, San Filippo Neri, Sant'Agostino, Santa Chiara, Santa Caterina, Santissima Trinità, Santa Maria del Carmine, Badia Morronese, l'oratorio di san Rocco. Inoltre crollarono anche alcuni palazzi, principalmente affacciati lungo Corso Ovidio e l'attuale Piazza Garibaldi, le mura furono sbrecciate mentre le porte in larga parte riuscirono a rimanere in piedi, pur presentando notevoli danni (tranne Porta Napoli); crollarono anche il campanile di Santa Maria della Tomba, l'annessa Cappella della Madonna di Loreto e la Casa della Confraternita Lauretana (i cui resti si ammirano tuttora). Solo pochi edifici, che riportarono comunque danni come già detto, rimasero in piedi: la chiesa di Santa Maria della Tomba, il campanile dell'Annunziata, il palazzo del Complesso della Santissima Annunziata, la facciata e il campanile di San Francesco della Scarpa, il campanile della Badia Morronese, il portale di Sant'Agostino (trasferito nel 1833 in San Filippo), la facciata della Cattedrale, la cripta di quest'ultimo, l'Acquedotto Svevo, Porta Napoli, la chiesa dell'Incoronata, la chiesa di San Giovanni e la chiesa di San Gaetano. Inoltre, rimasero in piedi anche alcuni palazzetti medievali e rinascimentali che si trovavano nel cuore del centro storico e la Fontana del Vecchio (1478). I morti furono 1000 circa, i feriti e i senzatetto incalcolabili.
Campo di Giove: forse epicentro del sisma, fu letteralmente distrutto: rimase in piedi solo una parte di Palazzo Nanni. Si dice che alcuni massi si staccarono dalla montagna sovrastante. Molti feriti (numero non disponibile).
Pratola Peligna: i danni non furono molti, forse perché durante quel periodo la città era un "cantiere aperto" visto che si stava procedendo alla ricostruzione o alla ristrutturazione di alcuni edifici. Risultarono comunque danneggiati, inagibili e in parte crollati, il primitivo Santuario della Madonna della Libera, diversi oratori e alcuni palazzi. Non riuscirono a reggere invece le case popolari dove viveva buona parte della popolazione. Morti e feriti (numero non disponibile).
Prezza: crollano la chiesa di S.Lucia e quella di san Giuseppe (di cui comunque rimane in parte in piedi l'interno). Rimane intatta la statua di S.Lucia, miracolosa, nonostante le macerie che le cadono addosso. Il 90% dell'abitato crolla, il resto è inagibile. Rimane in piedi e intatta solo la Chiesa di Santa Maria del Colle. Morti e feriti (numero non disponibile).
Raiano: quasi tutto il paese crolla, anche le chiese. L'eremo di San Venanzio rimase in piedi ma risultò inagibile. Morti e feriti (numero non disponibile).
Vittorito: il paese risultò quasi del tutto inagibile; alcuni crolli, i maggiori nella parrocchiale. I morti forse non ci furono, ma qualcuno rimase ferito.
Castelvecchio Subequo: crolla la chiesa di san Francesco (rimangono in piedi solo la facciata, la cappella di S.Maria e gli altari laterali). Crollano anche alcuni piccole case; per il resto crepe e caduta di calcinacci. Morti e feriti (numero non disponibile).
Corfinio: danni alla Chiesa di San Pelino, detta Basilica Valvense e prima cattedrale della Diocesi di Sulmona-Valva. Crolla la chiesa di S.Martino, inagibile e devastata all'interno la chiesa di S.Maria del Soccorso. Danni più o meno gravi alle abitazioni. Feriti ( e morti?) (numero non disponibile).
Roccacasale: a breve distanza da Sulmona, il centro risulta devastato e inagibile; il Castello crolla in buona parte e la sua decadenza si accentua. Annientate le chiese.
Salle: la situazione del centro fu gravissima, e sembra che ancora nel '900 portasse i danni di quella sciagura. Crollarono le chiese. Morti e feriti (numero non disponibile).
Pacentro: crollano le chiese, alcune abitazioni. Crolla in parte anche il Castello. Morti e feriti (numero non disponibile).
Pettorano sul Gizio: il centro è in buona parte distrutto, ma una parte rimane anche se inagibile. Sopravvive, seppur danneggiato, il Castello. Morti e feriti (numero non disponibile).
Scanno: le chiese risultano fortemente danneggiate, soprattutto quella di S.Maria in Valle. Crolli nella Chiesa della Madonna del Lago.
Tocco da Casauria: il paese risulta gravemente danneggiato, la periferia dell'abitato crolla. Danni ingenti e crolli nella chiesa di S.Eustachio, nel Castello e in modo più lieve alle altre chiese. Morti e feriti (numero non disponibile).
Popoli: crollano le chiese della Trinità e San Lorenzo. Viene giù quasi tutta la parte alta della facciata della chiesa di San Francesco, mentre il Castello (abbandonato da tempo) presenta crolli molto diffusi. Crollano anche alcuni abitazioni; i cronisti popolesi riportarono il decesso di 120 persone, mentre altre 130 furono ferite.
Cocullo: danni gravi alla chiesa di S.Maria delle Grazie. Inagibile la chiesa di S.Domenico Abate e piccoli crolli nell'abitato.
Villalago: il centro fu gravemente danneggiato. In buona parte, però, i vari edifici riescono a resistere alla scossa.
Anversa degli Abruzzi: crolla il Castello (ne rimangono pochissimi ruderi); danni in tutto l'abitato.
Castiglione a Casauria: danni all'Abbazia di San Clemente a Casauria.
Rivisondoli: crolla tutto il paese. Morti e feriti (numero non disponibile).
Roccaraso: crolla mentre era ancora in costruzione dopo che il Terremoto dell'Aquila del 1703 l'aveva distrutta. Crolla parzialmente anche la chiesa di San Bernardino. Morti e feriti (numero non disponibile).
Pescocostanzo: crolla il soffitto della Collegiata, cancellando così quasi tutte le testimonianze medievali della chiesa. Crollano anche alcuni palazzi, mentre altri sono inagibili. Piccoli crolli e inagibilità anche nella chiesa del Suffragio. Reggono bene, invece, gli altri palazzi e chiese, pur riportando a volte delle crepe. Morti e feriti (numero non disponibile).
Bugnara: gravemente danneggiato.
Fara San Martino: per questo borgo, come anche per quelli del versante chietino e pescarese, la scossa più distruttiva fu la seconda. A Fara la metà del paese crollò, l'altra metà era inagibile. La chiesa di San Remigio era inagibile e con piccoli crolli, quella dell'Annunziata si era sbriciolata, mentre quella di San Rocco riuscì a rimanere in piedi pur presentando crepe. Furono danneggiati anche alcuni palazzi e locali sede di attività. Crolla buona parte dell'Abbazia di San Martino. I morti furono 5 e i feriti 120.
Palena: gravi danni, i morti furono 300 e i feriti 100, e su una popolazione di circa 450 abitanti.
Lettopalena: danni. 60 morti e alcuni feriti.
Taranta Peligna: crollò la chiesa di san Biagio, di cui rimase la facciata, e vi furono gravi danni. 100 morti e poco più di 100 feriti.
Lama dei Peligni: danni gravissimi, solo pochi edifici rimasero in piedi.Inoltre vi fu uno smottamento che fece crollare altri edifici, rimasti in piedi. I morti furono 130 e i feriti 120.
Guardiagrele: già gravemente danneggiato nel 1703, il terremoto del 1706 provocò il crollo di alcuni edifici: andarono giù l'interno del Duomo, delle chiese di San Francesco, Sant'Antonio, dei Cappuccini. Crollarono completamente la chiesa di San Nicola e il Palazzo Vitacolonna. Crepe nella chiesa di san Silvestro.
Chieti: alcuni edifici, seppur pochi, risultarono inagibili; crolla la parte superiore del campanile della Cattedrale di San Giustino, che presenta evidenti crepe all'esterno. Pericolante il campanile di Santa Trinità. Alcuni edifici si inclinarono ma non caddero giù. La tradizione vuole che il terremoto non provocò altri danni per il tempestivo interno di San Giustino, apparso sopra Chieti.
Fossacesia: fu l'unico centro della costa danneggiato. Nel piccolo paese l'Abbazia di San Giovanni in Venere risulta inagibile e ciò ne accentua la decadenza.
Città Sant'Angelo: fu un caso sorprendente di come Città Sant'Angelo subì danni molto gravi dal sisma mentre la vicinissima Atri non patì nulla. A Città Sant'Angelo crollò la cuspide del campanile della Collegiata e la navata sinistra della suddetta chiesa; vennero giù anche le chiese di San Francesco e San Bernardo. Quasi tutte le abitazioni risultarono fortemente danneggiate, mentre le altre chiese furono inagibili.
Venafro: anche a Venafro, in Molise, la scossa più devastante fu la seconda. Crollarono parte della facciata della chiesa dell'Annunziata e risultarono gravemente danneggiati la Chiesa di San Nicandro, il Convento dei Cappuccini, e alcune sale al piano terra del Castello Pandone. Inagibile, con piccoli crolli, la chiesa del Cristo.
Acquaviva d'Isernia: inagibile il Castello.
Agnone: la chiesa di Santa Croce è inagibile, mentre sono pericolanti il campanile e l'annesso ospedale; la chiesa di S.Emidio ha il crollo parziale del soffitto, quelle dell'Assunta e di San Nicola inagibili.
Isernia: danneggiata la Cattedrale, crepe in alcuni edifici.
Capracotta: inagibile il Palazzo Baronale. Devastata e con dei crolli la chiesa di S.Maria di Loreto.
Ferrazzano: crepe nella chiesa dell'Assunta.
Guglionesi: inagibilità per la chiesa di S.Maria Maggiore.
Isernia: crolla l'interno della chiesa di San Francesco e inagibile il convento di S.Maria delle Monache.
Larino: inaigibili le chiese di Santo Stefano e San Francesco. Semicrollato il Palazzo Ducale.
Limosano: semicrollate le chiese di S.Maria e S.Francesco.
Lucito: inagibile la chiesa di San Nicola, dove vi sono alcuni crolli.
Morrone del Sannio: inaigibile la chiesa di S.Maria in Casalpiano.
Campodipietra: crolla la chiesa di San Martino.
Petrella Tifernina: gravemente danneggiata la chiesa di San Giorgio.
Rocchetta a Volturno: distrutta l'Abbazia di San Vincenzo al Volturno; la chiesa era stata già distrutta tre volte dai terremoti, e tutto ciò ne accentua la decadenza.
San Giuliano di Puglia: crolla quasi del tutto la chiesa di S.Giuliano, che da tempo era ormai in completo abbandono.
Santa Croce di Magliano: gravissimi danni alla torre medievale.
Sepino: crolla la parte superiore del campanile della chiesa di Santa Cristina.
Termoli: crolli all'interno del Duomo.
Torella del Sannio: inagibile, con piccoli crolli, il Castello.
Trivento: crolla buona parte del Duomo.
Capitanata: alcuni centri della Capitanata, quelli a confine con il Molise, avvertirono la scossa, riportando crepe e piccole cadute di intonaco.
Abbazia di Montecassino: distintamente avvertito, vi fu comunque qualche piccola caduta di intonaco e qualche crepa.
Sora: avvertito, provocò crepe, caduta di intonaci e spesso di alcuni elementi decorativi nelle facciate di edifici.

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