25 aprile, 2010

25 Aprile nel Municipio Roma V: I MARTIRI DI PIETRALATA



Nel calendario delle iniziative in ricordo del giornata della Liberazione i rappresentanti della maggioranza del Municipio Roma V depongono una corona d’alloro presso la lapide dei Martiti di Pietralata all’interno del complesso della casa circondariale di Rebibbia. Hanno presenziato all’iniziativa oltre al Vice Presidente del Municipio Roma V Antonio Medici anche il consigliere Roberto Chiappini

Questa in sintesi la storia dei Martiri di Pietralata

I MARTIRI DI PIETRALATA
I Martiri che qui commemoriamo appartenevano ad una delle prime bandearmate di Patrioti che si erano andate
formando in città a poco più di un mese dai combattimenti che l'8 settembre del1943 avevano visto soldati e civili
impegnati nella eroica, sanguinosa e sfortunata difesa della Capitale.
Il 20 ottobre 1943, mentre l'oppressione nazista si faceva sempre più feroce, aquattro giorni dal rastrellamento del
ghetto diretta da Kappler quando 1022 ebrei furono deportati, una quarantina di Partigiani che avevano le basi neiquartieri popolari di Pietralata e San Basilio, assaltarono la caserma adiacente al Forte Tiburtino.
Loro, e qualche civile che li accompagnava, tutta gente del luogo, volevano impadronirsi di armi, viveri e medicinali
abbandonati dai militari italiani l'8 settembre.
A guardia c'era uno sparuto reparto tedesco, il cui comandante reagì bloccando l'ingresso, sparando con armi
leggere e chiedendo rinforzo.
Un paio di plotoni di SS furono inviati a cogliere i partigiani alle spalle.
Dopo un breve e impari combattimento che procurò alcuni morti anche tra le SS.,
i Partigiani dovettero ripiegare, ma 22 restarono prigionieri.
Fatti sfilare, legati l'uno all'altro, lungo una strada della Borgata di Pietralata, 3 riuscirono a liberarsi e fuggire, gli altri vennero rinchiusi nel castello della tenuta di Casal dè Pazzi, nel pressi di Montesacro. Restarono nel cortile tutta la notte, sotto la minaccia di due
mitragliatori.
Trasferiti la mattina del 21 nel grande edificio della tenuta Talenti, che si affaccia sulla Nomentana, subirono un breve processo, senza essere interrogati.
Basato soltanto su alcune deposizioni dei militari germanici, in tedesco, senza interpreti. Non fu nemmeno detto loro, o non capirono, che dieci, scelti a caso, erano stati condannati a morte dal
tribunale militare.Furono tutti riportati a Casal dè Pazzi e rinchiusi, 10 in una cantina del castello, 9 in uno stanzone a piano terra. Nel pomeriggio, questi vennero fatti salire su un autocarro, scortato da una squadra motorizzata di SS e condotti, percorsa la strada Casal dè Pazzi, nella zona di Rebibbia.
Giunti al di la della prominenza del terreno, a lato della via
Tiburtina, furono muniti di attrezzi e costretti a scavare
una fossa lunga 3 metri e larga 2, profonda più di un metro.
I militari tedeschi dissero che sarebbe servita per
costruire uno sbarramento anticarro corredato da una
mina, e poiché il terreno era pietroso, fecero esplodere
alcuni candelotti di dinamite per facilitare il lavoro che
peraltro durò fino a notte fonda illuminato da torce
elettriche.
Scavata la fossa, i nove prigionieri furono ricondotti nel
castello di Casal dè Pazzi.
All'alba del giorno successivo, gli altri 10 Partigiani furono
fatti uscire dalla cantina e salire su un autocarro, bendati,
legati i polsi dietro la schiena, scortati da SS e da militi
collaborazionisti della PAI "Polizia Africana Italiana".
L'automezzo venne fatto sostare a un centinaio di metri
dalla fossa e i prigionieri spinti a camminare uno per volta,
sempre bendati e legati, scortati da un soldato tedesco e
uno della PAI, al di là della prominenza del terreno, sul
luogo dell'esecuzione celato alla vista della strada.
A bordo dell'automezzo, in attesa di scendere, c'era un
ragazzo quattordicenne, Guglielmo Mattiocci, che era
stato catturato con una bomba a mano tedesca infilata
nella cintura dei pantaloni che portava corti sopra il
ginocchio. Era l'unico cui erano stati tolti la benda dagli
occhi e i legacci ai polsi. Indossava un paio di stivali di
cuoio lucido nero, da Ufficiale dell'Esercito Italiano, in
ottimo stato. E proprio quegli stivali avevano destato
l'interesse di un soldato delle SS durante il tragitto.
Su suggerimento di un milite della PAI il ragazzo se li sfilò
e li offrì al militare tedesco. Questi prese gli stivali e gli
risparmiò la vita spingendolo infondo all'autocarro. Scorse
un ciclista che stava pedalando lungo la strada, scese dal
camion, gli ingiunse di alzare le mani puntandogli il fucile,
o bendò, gli legò i polsi e lo condusse aal posto del ragazzo.
Completò così il numero di coloro che dovevano essere
soppressi.
Uccisi i dieci prigionieri, coperta di terra la fossa, le SS vi infilarono un pezzo di miccia, facendone uscire un tratto per scoraggiare chiunque ad avvicinarsi a quella che volevano sembrasse una mina pronta ad esplodere. Solo dopo qualche giorno il comando germanico fece affiggere i manifesti che annunciavano l'esecuzione di "dieci comunisti” condannati a morte dal tribunale militare perché appartenenti ad una banda che aveva aperto il fuoco contro le truppe dell'esercito tedesco".
Comunicato riportato da "il Messaggero" il 29 ottobre.
Guglielmo Mattiocci, il ragazzo scampato alla morte, fu ricondotto scalzo nel castello di Casal dè Pazzi e la sera, con gli altri 9 Partigiani, trasferito a Regina Coeli, dove
sarebbero rimasti fino al 4 gennaio del 1944, per essere deportati, quel giorno, su un carro bestiame piombato,
in un lager tedesco con 470 patrioti detenuti nei luoghi di segregazione romani.
Dei 10 Partigiani rimasti il 20 ottobre 1943, 4 non ressero alle privazioni, 6, con Mattiocci riuscirono a ritornare a Roma, allucinai e scheletriti, qualche mese dopo la fine della guerra.
Dalle loro descrizioni i Carabinieri riuscirono a trovare il posto dove erano stati condotti i Partigiani da uccidere,
e qui, scoprirono la fossa comune,
Furono identificate le 10 vittime, e anche quella dell'uomo in bicicletta nonostante fosse privo di documenti.

I nomi incisi sulla Lapide che gli abitanti di Pietralata,San Basilio e Tiburtino Terzo collocarono il 16 febbraio 1947 sono:
Orlando Accomasso di 30 anni, Andrea Chialastri 37 anni, Lorenzo Ciocci anni 19, Mario De Marchis anni 22, Giuseppe Liberati anni 20, Angelo Salsa anni 18, Marco Santini anni 39, Mario Splendori anni 38, Vittorio Zini anni 36 e quello del passante Fausto Iannotti di età imprecisata.

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