07 agosto, 2010

PROMEMORIA 7 agosto 1990 - Un'impiegata di Roma, Simonetta Cesaroni, viene assassinata nell'ufficio dove lavora: il giallo di via Poma, senza risposta


Un'impiegata di Roma, Simonetta Cesaroni, viene assassinata nell'ufficio dove lavora: il giallo di via Poma, uno dei delitti ancora senza colpevole
Il delitto di via Poma è il nome con cui storicamente si ricorda l'assassinio di Simonetta Cesaroni, avvenuto martedì 7 agosto 1990 nel palazzo di via Carlo Poma n°2 a Roma, tuttora irrisolto.
Ultimo giorno di lavoro

La mattina del 7 agosto 1990 in via Maggi 406, nella sede della Reli Sas, Salvatore Volponi discute delle ferie con Simonetta Cesaroni. Resta come ultimo impegno il pomeriggio da passare all’A.I.A.G. per sbrigare alcune pratiche. Simonetta è d’accordo che verso le 18.20 farà uno squillo a Volponi per dirgli come procede il lavoro. Lui sarà nella tabaccheria che gestisce con la moglie alla stazione Termini. All'incirca alle ore 15.00 Simonetta esce dalla sua abitazione in via Serafini numero 6 insieme a sua sorella Paola a bordo di una Fiat 126C per recarsi alla metropolitana Subaugusta, distante qualche isolato. La metropolitana di Roma impiega circa quaranta minuti nel tragitto che compie Simonetta, ovvero tra la fermata Subaugusta e Lepanto.

Calcolando i tempi impiegati nel tragitto in metropolitana e dalla stazione agli uffici di via Poma, gli inquirenti sono arrivati a stabilire che Simonetta è entrata in ufficio alle 16.00 o poco prima. L’ufficio quel giorno è chiuso al pubblico. Lei usa un mazzo di chiavi che le è stato dato da Volponi per aprire il portone. Alle 17.35 risale l’ultimo indizio che Simonetta Cesaroni sia ancora viva. Le viene fatta una telefonata da Luigia Berrettini riguardo informazioni sul lavoro. Alle 18.20 ci dovrebbe essere la telefonata a Volponi per aggiornarlo sullo stato dei lavori, ma Simonetta non lo chiamerà. I famigliari la attendono a casa per le 20.00. Alle 21.30 la sorella Paola si preoccupa e cominciano le ricerche.

Viene contattato Salvatore Volponi per sapere il numero di telefono degli uffici A.I.A.G. per sincerarsi che Simonetta stia bene. Volponi non conosce tale numero e a questo punto Paola Cesaroni, accompagnata dal fidanzato Antonello Barone, preleva Volponi e suo figlio dalla loro abitazione e i quattro si dirigono insieme nello stabile di via Poma numero 2. Qui, alle 23.30 circa, si faranno aprire il portone degli uffici A.I.A.G. dalla moglie del portiere e troveranno Simonetta morta.

7 agosto 1990 in via Poma 2


Dalle 16.00 alle 20.00 i portieri degli stabili di via Poma numero 2 si riuniscono nel cortile a parlare e mangiare cocomero, come riferiranno agli inquirenti. Saranno tutti concordi nel riferire che non hanno visto entrare nessuno dall’ingresso principale in quell’orario. Dopo le 17.35, ultimo contatto di Simonetta, inizia la tragedia. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, c’è con ogni probabilità un uomo negli uffici A.I.A.G. ed è pericoloso, perché Simonetta gli sfugge, dalla stanza a destra dove lavora, fino a quella opposta a sinistra, dove verrà ritrovata.

Qui viene immobilizzata a terra, qualcuno è in ginocchio sopra di lei e le preme i fianchi con le ginocchia con tanta forza che le lascerà degli ematomi. La colpisce con un oggetto, oppure le sbatte la testa violentemente a terra, ad ogni modo per via di questo trauma cranico Simonetta muore. A questo punto l’assassino prende un tagliacarte e inizia a pugnalarla a ripetizione. Saranno 29 alla fine i colpi inferti, di circa 11 centimetri ciascuno di profondità. Sei sono i colpi inferti al viso, all’altezza del sopracciglio destro, nell’occhio e poi nell’occhio sinistro. Otto lungo tutto il corpo, sul seno e sul ventre.

Quattordici dal basso ventre al pube, ai lati dei genitali, sopra e sotto. Gli abiti di Simonetta, fuseaux sportivi blu e maglietta, vengono portati via assieme a molti effetti personali che non saranno mai ritrovati, tra cui un anello d’oro, un bracciale d’oro e un girocollo d’oro, mentre l’orologio le viene lasciato al polso. Lei viene lasciata nuda, con il reggiseno allacciato, ma calato verso il basso, con i seni scoperti, il top arrotolato sul collo. Non ha le mutandine, porta addosso ancora i calzini bianchi corti, mentre le scarpe da ginnastica sono riposte ordinatamente vicino alla porta. Le chiavi dell’ufficio, che aveva in borsa, vengono portate via.
La scena del delitto [modifica]

Simonetta Cesaroni, venti anni e mezzo, è stesa nuda negli uffici della A.I.A.G. di via Poma numero 2. Sul petto porta vistosi segni delle coltellate intrise al sangue. Altri colpi sono su giugulare, cuore, aorta, fegato e occhi. Le coppe del reggiseno le comprimono i seni, una fa vedere un capezzolo per intero, l’altra a metà. Su quel capezzolo, c’è una ferita che sembra un morso. Nella porta d’ingresso della stanza del delitto viene ritrovato del sangue sulla maniglia. Il sangue analizzato dirà che appartiene ad un uomo.

Nella altre stanze non vi sono tracce di colluttazione, tutto è ordinato e non c’è alcun segno che possa far pensare che il corpo sia stato trascinato dove si trova. Gli inquirenti credono che nella stanza dove Simonetta viene trovata, si è consumato il delitto. Viene comunque rilevata una minima traccia di sangue anche nella stanza di Simonetta, sulla tastiera del telefono.

Sempre nella stanza di Simonetta, viene rinvenuto anche un appunto, su un pezzo di carta. C’è scritto “CE” poi c’è disegnato un pupazzetto a forma di margherita e in basso a destra, c’è scritto “DEAD OK”. A lungo si speculerà su questo disegno e sul suo significato finché il programma televisivo "Chi l'ha visto?" rivelerà, nell'ottobre 2008, che a fare quel disegno e a scrivere la frase DEAD OK fu uno degli agenti di polizia che intervennero la notte dell'8 agosto in via Poma. Dopo aver disegnato e scritto sul foglio, l'agente dimenticò il pezzo di carta sulla scrivania dove c'era il computer da lavoro di Simonetta.

L’autopsia

Simonetta Cesaroni è stata colpita da un’arma bianca da punta e taglio, con lama bitagliente, ma non dotata di azione recidente. I lati della lama sono bombati, curvi, non appuntiti, la penetrazione è avvenuta per la pressione inflitta e per la punta aguzza. Il corpo è disteso sul pavimento, capo spostato verso la destra, braccio sinistro esteso verso l’alto, braccio destro piegato leggermente, con le dita della mano flesse, ad artiglio.

Rivoli di sangue scorrono verso le spalle, verosimilmente per deflusso, che testimonierebbe l’avvenuto accoltellamento quando era già stesa in terra. Alle spalle un ampio versamento di sangue ai cui bordi sono trovate impronte rosacee nastriformi. L’emivolto destro è omogeneamente bluastro, una infiltrazione ecchimotica con componente tumefattiva. Il padiglione auricolare della stessa zona del volto appare anch’esso tumefatto da ecchimosi bluastra. Il volto presenta sei ferite della stessa arma bianca, ferite curve e oblique in corrispondenza delle strutture ossee orbitali.

Una ferita al collo è trasfossa, entrata e uscita. Sono otto le ferite in zona toracica e quattordici quelle in zona pubico genitale. Non risulta alcun segno di violenza sessuale. Escoriazione profonda presente sul capezzolo sinistro. Le mani sono pulite, le unghie sono lunghe, curate e intatte, niente segni di graffi dati. Non sono trovati alcol né stupefacenti nel corpo.

Non viene indagata una ferita particolare, sotto ai genitali, di tipo bifida, ovvero con un’estremità, quella inferiore, doppia, a forma di Y rovescia. Non vengono analizzati eventuali ritrovamenti di saliva attorno al capezzolo sinistro, posto che la sua escoriazione sia dovuta ad un morso.

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