29 luglio, 2013

PROMEMORIA 29 luglio 2004 – Dopo 143 anni di coscrizione, l'Italia abolisce la leva obbligatoria. L'ultimo giorno di naja sarà il 30 giugno 2005

Dopo 143 anni di coscrizione, l'Italia abolisce la leva obbligatoria. L'ultimo giorno di naja sarà il 30 giugno 2005 Il servizio militare di leva in Italia (detto anche coscrizione obbligatoria di una classe, volgarmente naja), venne istituito formalmente nel neonato Regno d'Italia unitario e nella Repubblica italiana ed è stato in regime dal 1861 al 2005, per 144 anni. La coscrizione obbligatoria nello stato italiano unitario, sebbene mai formalmente abolita, è di fatto terminata dal 1º gennaio 2005 come stabilito dalla legge Martino (legge 23 agosto 2004, n. 226). La parola militesente quindi oggi è un aggettivo e sostantivo maschile utilizzata per definire una persona libera da obblighi militari. Nonostante nel corso degli anni si siano verificati sempre più spesso gravi episodi di atti di nonnismo, ed anche diversi omicidi legati al fenomeno, si avvertì nel corso del tempo una generale avversione alla coscrizione obbligatoria da parte della società italiana. Per la sospensione del servizio militare di leva, non l'abolizione, visto che sarebbe stata necessaria una legge costituzionale di modifica dell'articolo 52 (il quale dispone: "La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino" e sancisce l'obbligatorietà del servizio militare "nei limiti e modi stabiliti dalla legge"), vennero poste le basi con la legge 14 novembre 2000 n. 331 (emanata durante il Governo Amato II, di cui il principale promotore fu però il senatore Carlo Scognamiglio, durante il Governo D'Alema I), che conferiva al Governo la delega a emanare disposizioni concernenti la graduale sostituzione, entro sette anni, dei militari in servizio obbligatorio di leva con volontari di truppa, che fissò l'organico dell'esercito italiano in numero di 190.000 unità. Tale legge, benché già anelata da vari politici già negli anni immediatamente precedenti, ebbe un impulso decisivo con i fatti emersi nell'agosto del 1999 con la morte, avvenuta in circostanze mai del tutto chiarite, del paracadutista siracusano Emanuele Scieri in forza alla Brigata Folgore, in servizio presso la Caserma Gamerra C.A.PAR Centro Addestramento Paracadutisti di Pisa (che ancora vede i colpevoli impuniti),e la venuta alla luce di comportamenti ritenuti istigatori al razzismo da parte di alcuni ufficiali. La suddetta norma del 2000 prevedeva la possibilità del ripristino dell'obbligo della coscrizione, di una o più classi, solo in caso di carenza di soldati, e in due casi particolari: se sia deliberato lo stato di guerra ai sensi dell'art. 78 della Costituzione in caso di gravissime crisi internazionali in cui l'Italia sia direttamente coinvolta o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale. La sospensione venne sancita formalmente con il decreto legislativo 8 maggio 2001 n. 215, a partire dal 1º gennaio 2007 emanato durante il secondo governo Amato, emanato in ottemperanza ai dettami della legge 331/2000, che introdusse pure nuove norme sul rinvio degli ultimi coscritti. Tale sospensione venne tuttavia anticipata è stata disposta con la legge 23 agosto 2004 n. 226, emanata durante il secondo governo Berlusconi: la norma, modificando il decreto legislativo n. 215/2001, fissava la sospensione delle chiamate per lo svolgimento del servizio di leva a decorrere dal 1º gennaio 2005, disponendo comunque la chiamata al servizio, fino al 31 dicembre 2004, per tutti i soggetti nati entro il 1985 incluso[9](ultima classe chiamata alle armi) tranne che nel caso costoro avessero presentato domanda di rinvio per motivi di studio entro il 31 dicembre 2004. Il successivo decreto legge 30 giugno 2005 n. 115 stabilì infine che a decorrere dal 1º luglio il personale di leva in servizio potesse, con apposita domanda, cessare anticipatamente il servizio. Dal 1º gennaio 2005 quindi l'arruolamento in tempo di pace è divenuto sostanzialmente non più coatto, ma su base esclusivamente volontaria e a carattere professionale (VFP1 e VFP4). La materia infine ha trovato una organica disciplina nel decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 66 (Codice dell'ordinamento militare) che limita la coscrizione obbligatoria (leva), o meglio il suo ripristino, alle summenzionate condizioni riportate in tale norma all'art. 1929. Tuttavia, nonostante l'entrata in vigore delle nuove norme, la legge comunque non esime i comuni dalla formazione delle liste di leva, nelle quali continuano ad iscritti i cittadini italiani di sesso maschile all'anno del compimento del loro 17º anno di età. Vedasi ad esempio nelle ipotesi disciplinate dal libro VIII del D.P.R. 15 marzo 2010 n. 90 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare).

04 luglio, 2013

PROMEMORIA 4 luglio 1976 – Commando di Israele effettuano un raid nell'aeroporto di Entebbe, in Uganda, salvando la maggior parte dei passeggeri e dell'equipaggio di un aereo dell'Air France, preso da dirottatori pro-Palestinesi

Commando di Israele effettuano un raid nell'aeroporto di Entebbe, in Uganda, salvando la maggior parte dei passeggeri e dell'equipaggio di un aereo dell'Air France, preso da dirottatori pro-Palestinesi L'Operazione Entebbe delle Forze armate israeliane ebbe luogo nella notte tra il 3 luglio ed il 4 luglio 1976, nell'aeroporto dell'omonima città ugandese. I militari che la pianificarono e la condussero le diedero il nome di Mivtsa‘ Kadur Ha-ra‘am ("Operazione Fulmine"). In onore del tenente colonnello Yonatan Netanyahu, comandante del gruppo d'assalto durante il raid ed unico militare israeliano a perdere la vita nell'azione, venne in seguito denominata anche Mivtsa‘ Yonatan ("Operazione Yonatan"). Il dirottamento Alle 12.30 del 27 giugno 1976, il volo 139 dell'Air France, un aereo Airbus A300 proveniente da Tel Aviv, decollò dall'aeroporto di Atene diretto a Parigi, con a bordo 244 passeggeri e 12 persone di equipaggio. Poco dopo, il volo venne dirottato da quattro terroristi. I dirottatori, due palestinesi appartenenti al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) e due tedeschi aderenti alle Revolutionäre Zellen, ordinarono di far rotta su Bengasi, in Libia. Qui l'aereo rimase a terra per sette ore, durante le quali venne rifornito e fu rilasciata una donna. In seguito l'Airbus decollò nuovamente, per dirigersi verso Entebbe, in Uganda. Il commando, infatti, fu appoggiato dal governo del dittatore ugandese Idi Amin che simpatizzava per la causa palestinese. Originariamente, Amin era stato sostenuto da molti Governi occidentali, Israele compreso. Le relazioni diplomatiche tuttavia degenerarono allorché il Governo di Israele rifiutò ad Amin la vendita di velivoli di combattimento che sarebbero serviti per attaccare la Tanzania. Fu così che Amin ruppe le relazioni con Israele e abbracciò la causa dell'OLP. L’aereo atterrò ad Entebbe alle 03:15 del 28 giugno. Ai dirottatori si aggiunsero ben presto altri tre terroristi. Il gruppo, guidato da Wilfred Böse (non da Ilich Ramírez Sánchez, ossia "Carlos lo Sciacallo", come talvolta si sostiene), chiedeva la liberazione di 40 palestinesi detenuti in Israele, oltre a quella di altri 13 che si trovavano nelle prigioni di Kenya, Francia, Svizzera e Germania. I dirottatori rilasciarono la maggior parte degli ostaggi, trattenendo solo i cittadini israeliani e gli ebrei, che minacciavano di uccidere se le loro richieste non fossero state accolte. Il capitano del volo, Michel Bacos, fece notare ai terroristi che, dal momento che tutti i passeggeri erano sotto la sua responsabilità, non ne avrebbe abbandonato alcuno e sarebbe rimasto con gli ostaggi. Tutto l'equipaggio fu solidale con il capitano, rifiutando di partire con un altro aereo dell'Air France, giunto ad Entebbe per portare via gli ostaggi liberati. Anche una suora francese rifiutò di partire, insistendo che il suo posto doveva essere preso da un altro ostaggio, ma fu spinta a forza sull'aereo che attendeva i passeggeri liberati dai militari ugandesi. Gli ostaggi rimasti furono rinchiusi nel vecchio terminal dell'aeroporto. Il raid Il governo di Israele iniziò le trattative per il rilascio degli ostaggi, al contempo studiava anche altre possibili soluzioni come l'intervento armato. Ottenendo 3 giorni di proroga rispetto all'ultimatum imposto riuscì ad organizzare una missione di salvataggio degli ostaggi che dava buone possibilità di successo. Fu affidata ai militari. Dopo diversi giorni dedicati alla raccolta di informazioni ed alla preparazione, il 4 luglio quattro aerei da trasporto C-130 Hercules (detti in gergo Ippopotami) del Heyl Ha-Avir, l'Aeronautica militare israeliana, atterrarono di notte all'aeroporto di Entebbe, ovviamente senza l'aiuto della torre di controllo. L'avvicinamento degli aerei fu fatto sfruttando le capacità di volo a bassa quota unite alle capacità di atterraggio su brevi piste. L'avvicinamento avvenne a fari di navigazione spenti e sfiorando la superficie del lago Victoria. Un altro aereo militare israeliano, un jet attrezzato per il pronto soccorso medico, atterrava nel frattempo all'aeroporto di Nairobi, in Kenya, mentre un altro aereo attrezzato da centro di comando volante dirigeva l'operazione[1]. Il governo keniota, avversario del regime ugandese, aveva infatti dato il suo appoggio all'operazione. Erano impegnati nell'operazione oltre cento soldati delle IDF (in gran parte elementi del reparto speciale Sayeret Matkal) e, forse, diversi agenti del Mossad. Gli israeliani atterrarono alle 23.00 circa, con i portelli di carico già abbassati. Fu fatta scendere una Mercedes nera, con due Land Rover al seguito. L'automobile e le Land Rover dovevano simulare la visita dello stesso Amin, per distrarre l'attenzione degli ugandesi e dei terroristi dai militari che si stavano avvicinando al terminal. La Mercedes, originariamente di colore bianco, apparteneva ad un civile israeliano ed era stata riverniciata di nero per il raid, con il presupposto che sarebbe stata restituita al legittimo proprietario, ignaro dell'uso al quale era destinata, con il colore originale[1] . Mentre il convoglio si avvicinava, due sentinelle, che erano state avvertite del fatto che Amin aveva cambiato la sua Mercedes nera con una bianca, ordinarono alle auto di fermarsi e furono immediatamente uccise dagli israeliani. Gli ugandesi furono ingannati dal diversivo israeliano e lasciarono che il finto corteo presidenziale si avvicinasse fino al terminal in cui erano rinchiusi i passeggeri e l’equipaggio del volo 139. Gli israeliani scesero dai mezzi ed irruppero nell’edificio, urlando agli ostaggi di stare giù. L’avvertimento fu fatto in ebraico ed uno dei passeggeri, che forse non aveva compreso, si alzò, dirigendosi verso i militari appena entrati. Questi ultimi, pensando si trattasse di un terrorista, lo uccisero. La stessa sorte toccò ai tre dirottatori che, trovandosi nel salone, cercarono di resistere. Un soldato, sempre in ebraico, chiese ai passeggeri dove fossero gli altri terroristi. Gli ostaggi indicarono una porta, che gli israeliani sfondarono, lanciando varie granate flash bang e lacrimogeni. Entrati nella stanza, i militari freddarono altri tre dirottatori, seduti attorno ad un tavolo ed ancora tramortiti dalle esplosioni. Gli israeliani tornarono quindi agli aerei, su cui iniziarono ad imbarcare gli ostaggi liberati[1]. Nel frattempo, diversi militari ugandesi, appostati nella vecchia torre di controllo adiacente al terminal, presero a sparare contro gli israeliani e gli ex ostaggi, in procinto di salire sui C-130. Gli israeliani interruppero l’imbarco e risposero immediatamente al fuoco con lanciarazzi, riuscendo quasi subito a neutralizzare gli uomini dell'esercito ugandese. Nel corso di quest’ultima sparatoria, due ostaggi furono colpiti a morte, così come Yonatan Netanyahu, comandante israeliano sul campo e fratello del futuro leader del Likud e primo ministro Benjamin Netanyahu[1]. Prima di decollare, un altro gruppo di incursori distrusse con esplosivo i caccia ugandesi MiG-17 che si trovavano sulla pista, per impedire ogni tentativo di inseguire gli Hercules, i quali, dopo una sosta tecnica a Nairobi, proseguirono il volo verso l’aeroporto di Tel Aviv. L’incursione durò solo una trentina di minuti. Sei dirottatori vennero uccisi. Dei 103 ostaggi, ne morirono tre, il primo ucciso per errore dagli israeliani, gli altri due colpiti dagli ugandesi durante lo scontro a fuoco prima dell’imbarco. Il tenente colonnello Netanyahu fu l’unico morto israeliano, mentre altri 5 soldati rimasero feriti, uno dei quali, Sorin Hershko, rimase invalido per le ferite riportate[1]. Il numero delle perdite ugandesi non è certo e varia secondo le fonti, da una dozzina fino a 45 circa. Si è sostenuto che gli israeliani durante l’operazione abbiano catturato alcuni terroristi, ma la notizia non ha ricevuto conferme. Una passeggera settantacinquenne, Dora Bloch, durante il dirottamento si era sentita male e, al momento dell’attacco, si trovava ricoverata all’ospedale di Kampala. Nei giorni successivi il suo letto fu trovato vuoto e nessuno seppe più nulla di lei[1], fino al 1979, quando, caduto il regime di Amin a seguito della guerra contro la Tanzania, vennero ritrovati i suoi resti. Nell’aprile del 1987, Henry Kyemba, all’epoca ministro della sanità ugandese, dichiarò alla Commissione dei Diritti Umani dell’Uganda che la Bloch era stata prelevata dal suo letto ed in seguito assassinata da due ufficiali dell’esercito che agirono per ordine di Amin. Analisi Uno dei fatti determinanti per il successo dell’incursione fu che il terminal in cui vennero rinchiusi gli ostaggi era stato costruito anni prima da un’impresa israeliana. Questa aveva conservato i progetti e li fornì sollecitamente ai militari, i quali, con l’aiuto di alcuni tecnici che avevano diretto i lavori, costruirono una replica esatta dell’edificio aeroportuale. Negli anni sessanta e settanta, gli israeliani erano, infatti, molto impegnati nella cooperazione economica con i paesi dell’Africa sub sahariana ed il regime di Amin, prima che quest’ultimo rovesciasse le alleanze, era stato un forte fruitore dell’assistenza tecnica fornita dallo stato ebraico. Decisamente d’aiuto alla pianificazione del raid furono anche i ricordi degli ostaggi rilasciati, interrogati a Parigi dai servizi d’informazione israeliani, che fornirono importanti dettagli in merito, per esempio, all’interno dell’edificio, al numero ed all’organizzazione dei dirottatori, al coinvolgimento delle truppe ugandesi. I preparativi israeliani vennero condotti nella più stretta riservatezza. Ad esempio, gli operai civili che realizzarono la replica del terminal assieme ai militari, “rimasero ospiti” di questi ultimi fino ad operazione conclusa. Prima di ordinare l’attacco, il governo israeliano effettuò diversi tentativi diplomatici per portare a casa gli ostaggi senza giungere ad una soluzione di forza. Molte fonti indicano che gli israeliani sarebbero stati disposti anche a rilasciare i prigionieri, nel caso l’opzione militare si fosse rivelata impraticabile. Un generale in pensione delle IDF, Chaim Bar-Lev, che conosceva personalmente il dittatore ugandese, ebbe con lui diverse conversazioni telefoniche, senza raggiungere alcun risultato. Ulteriori sviluppi Il governo dell’Uganda chiese che fosse convocato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per condannare il raid israeliano, in quanto violazione della sovranità ugandese. Il Consiglio di Sicurezza non approvò alcuna risoluzione. Per essersi rifiutato di abbandonare i passeggeri rimasti in ostaggio, il capitano Bacos ricevette una nota di biasimo dai suoi superiori e fu sospeso dal servizio per un periodo. Tuttavia, egli ricevette nello stesso anno la Legion d'Onore dal Presidente Giscard d'Estaing e in seguito un'onorificenza da parte dell'Organizzazione ebraica B'nai B'rith. Tutti i membri dell'equipaggio dell'aeromobile ricevettero inoltre un'onorificenza da parte dello Stato di Israele.

02 luglio, 2013

PROMEMORIA 2 luglio 2008 – Viene liberata Ingrid Betancourt, donna di stato colombiana sequestrata dalle FARC nel 2002

Viene liberata Ingrid Betancourt, donna di stato colombiana sequestrata dalle FARC nel 2002 Il rapimento Vistasi negare il supporto governativo, Íngrid Betancourt decise di recarsi nella zona smilitarizzata via terra, insieme alla sua candidata-vice Clara Rojas e a un gruppo di persone del suo staff. Il 23 febbraio 2002 fu fermata dall'ultimo posto di blocco militare prima di entrare nell'ex zona smilitarizzata. Gli ufficiali insistettero per convincere il gruppo a non proseguire fino a San Vicente del Caguan, il paese usato come base degli incontri durante le trattative. Il gruppo proseguì il viaggio e la Betancourt venne trattenuta da uomini delle FARC che la tennero in ostaggio. Il suo nome rimase in lista per le elezioni nonostante il sequestro; raccolse meno dell'1% dei voti. Nelle prime trattative, le FARC chiesero la formalizzazione di uno scambio di prigionieri: 60 ostaggi politici contro la liberazione di 500 uomini delle FARC detenuti nelle carceri colombiane. Inizialmente l'amministrazione del neo-eletto presidente Uribe escluse ogni trattativa in assenza di un cessate-il-fuoco preventivo e spinse per un'azione di salvataggio basata sulla forza, ma i parenti di Íngrid e di molti altri ostaggi - tenuto anche conto dell'inaccessibilità delle regioni montane e forestali dove gli ostaggi sono trattenuti - respinsero decisamente questa opzione temendone un esito infausto, simile all'episodio del sequestro del governatore del dipartimento di Antioquia, Guillermo Gaviria Correo, che le FARC uccisero non appena consapevoli della presenza dell'esercito nella loro zona. Nell'agosto del 2004, dopo alcune false partenze e di fronte al montare delle proteste dei parenti dei sequestrati, degli ex-presidenti liberali Alfonso López Michelsen e Ernesto Samper Pizano e dell'opinione pubblica, sempre più convinta dell'opportunità e della validità umanitaria dello scambio di prigionieri, il governo Uribe sembra ammorbidire le proprie posizioni annunciando di voler porre il 23 luglio alle FARC una proposta formale di liberare 50-60 prigionieri in cambio degli ostaggi politici e militari. Il governo si sarebbe impegnato a fare la prima mossa, rilasciando i prigionieri condannati per rivolta e concedendo loro di lasciare il paese o di aderire a programmi di reinserimento sociale. Le FARC avrebbero quindi rilasciato gli ostaggi in loro mano, tra cui Íngrid Betancourt. La proposta godeva del pubblico appoggio e del supporto dei governi francese e svizzero. La mossa venne apprezzata da diversi parenti dei sequestrati e da vari personaggi del mondo politico colombiano. Anche molti dei critici, che vi vedevano più una mossa propagandistica di Uribe, giudicarono il piano come praticabile. Le FARC rilasciarono un comunicato il successivo 20 agosto in cui smentivano di essere state contattate in anticipo dal governo svizzero (come il governo colombiano aveva dichiarato). Nella nota auspicavano il raggiungimento di un'intesa apprezzando il fatto che il governo Uribe avesse fatto una proposta, tuttavia criticarono la proposta perché non prevedeva la possibilità ai prigionieri rilasciati di decidere di tornare a militare nelle file delle FARC. Il 5 settembre successivo la stampa colombiana pubblicò quella che venne considerata una contro-proposta delle FARC. In essa si chiedeva al governo di individuare una zona franca per 72 ore di tregua, in cui i negoziatori governativi e gli ufficiali delle FARC avrebbero potuto incontrarsi faccia a faccia per discutere lo scambio di prigionieri. Il primo giorno sarebbe stato dedicato a raggiungere la località, il secondo alla trattativa ed il terzo all'abbandono dell'area da parte dei guerriglieri. Al governo fu indicata una rosa di possibili località del Dipartimento di Caquetá - Peñas Coloradas, El Rosal o La Tuna - in cui l'influenza politica delle FARC è forte e chiara. Qualcuno speculò che le FARC avrebbero potuto minare i terreni o predisporre trappole attorno alle guarnigioni militari locali durante la tregua. La proposta delle FARC di incontrarsi col governo fu vista molto positivamente da Yolanda Pulecio, la madre di Íngrid, che vi vide un segno di "progresso",[...] "esattamente come il governo può incontrarsi con le forze paramilitari (di estrema destra), può anche incontrarsi con gli altri, che sono terroristi allo stesso modo". Nel febbraio 2006 vi fu un appello del governo francese ad accettare uno scambio di prigionieri approvato dal governo di Bogotá e liberare i prigionieri trattenuti da meno di sette anni. Il ministro degli esteri francese Philippe Douste-Blazy disse che "era compito delle FARC dimostrare la serietà delle loro intenzioni di rilasciare l'ex candidata alle presidenziali Íngrid Betancourt e altri detenuti". In un'intervista con il giornale francese L'Humanité del giugno 2006, Raul Reyes, un leader delle FARC ebbe a dichiarare la Betancourt "sta bene, nei limiti della situazione in cui si trova. Non è facile essere privati della propria libertà". Nello stesso anno Francesco Guccini le dedica una canzone: Nella giungla. Nel maggio 2007 un poliziotto sequestrato, John Frank Pinchao, è riuscito a fuggire dalla prigionia e ha dichiarato di essere stato detenuto nello stesso campo di prigionia della Betancourt. Ha inoltre visto Clara Rojas, che durante la prigionia ha dato alla luce un figlio, Emmanuel. Il 17 maggio 2007 è stata resa nota la notizia, riportata da un poliziotto sfuggito alla prigionia, che la Betancourt sarebbe ancora viva.. Il 30 novembre 2007 il governo colombiano ha dichiarato che era stato trovato un video recente con la Betancourt ancora viva. Nel giugno 2008 il quotidiano italiano l'Unità l'ha proposta per il Premio Nobel per la Pace[5]. La liberazione Il 2 luglio 2008 è stata resa nota la notizia della sua liberazione avvenuta, secondo quanto riferito dal ministro colombiano, a seguito di una operazione di intelligence, Operacion Jaque, condotta da una task force dell'esercito colombiano. Non sono mancate le ipotesi su di un possibile riscatto di 20 milioni di dollari (non confermato, però, dalle Farc.) pagato dagli Stati Uniti per il rilascio del gruppo di ostaggi in cui erano presenti, oltre alla Betancourt, anche tre presunti agenti del FBI. Ipotesi al momento smentite da diverse documentazioni che dimostrerebbero come in realtà non fossero dell’FBI, non lavorassero per l’FBI e soprattutto non fossero “mercenari”. Erano civili, dipendenti della California Microwave System, sussidaria dell'americana Northrop Grumman (presente anche in Italia), che aveva ed ha contratti con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.