05 gennaio, 2014

PROMEMORIA 5 gennaio 1968 – Alexander Dubček sale al potere, in Cecoslovacchia comincia la Primavera di Praga

Alexander Dubček sale al potere, in Cecoslovacchia comincia la Primavera di Praga Nato in un paesino della Slovacchia, all'età di quattro anni si trasferì con tutta la sua famiglia in Unione Sovietica. Rientrato in Cecoslovacchia nel 1939, lavorò come operaio e aderì al movimento comunista clandestino, prendendo parte alla resistenza antinazista e all'insurrezione slovacca nel 1944. Nel 1951 diventò deputato dell'Assemblea nazionale e nel 1963 segretario del Partito Comunista Slovacco (che con quello di Boemia e Moravia formava il Partito Comunista Cecoslovacco, PCC). Convinto della necessità di abbandonare il modello sovietico, Dubček riunì intorno a sé un folto gruppo di politici e intellettuali riformatori, diventando il maggiore interprete di una linea antiautoritaria – definita "socialismo dal volto umano" – e di una feconda stagione politica: la Primavera di Praga. Il 5 gennaio del 1968 venne eletto segretario generale del PCC al posto di Antonín Novotný, leader della componente più legata al Partito comunista sovietico, dando avvio al cosiddetto "nuovo corso", una strategia politica volta a introdurre elementi di democrazia in tutti i settori della società, fermo restando il ruolo dominante del partito unico. Il consenso popolare ottenuto dall'azione riformatrice di Dubček suscitò ben presto la reazione di Mosca e degli altri regimi comunisti est-europei, che, infine, si risolsero a porre fine all'eterodossa esperienza praghese ordinando, nell'agosto del 1968, l'intervento delle truppe del Patto di Varsavia. In conseguenza dell'intervento, egli fu arrestato dalle forze speciali a seguito delle truppe d'occupazione sovietica e trasportato assieme ai suoi principali collaboratori e ai più eminenti rappresentanti del nuovo corso a Mosca, dove fu costretto a siglare un protocollo d'intesa con il Cremlino che vincolava il suo ritorno alla guida del Partito con la "normalizzazione" della situazione politica nel paese. Nonostante questo, l'opposizione popolare al regime d'occupazione consentì a Dubček di mantenere una certa autonomia dal Cremlino, tanto che in seguito ai suoi tentennamenti di fronte alle proteste anti-sovietiche della primavera successiva, egli venne rimosso dal suo incarico per poi essere espulso dal PCC nel 1970. Quell'anno tornò in Slovacchia, dove trovò impiego come manovale in un'azienda forestale. Tornò alla vita pubblica nel 1989 quando il regime gli concesse di viaggiare in Italia per ricevere una laurea honoris causa a Bologna; nella stessa occasione rilascia anche un'intervista a L'Unità dopo anni di silenzio, in cui ribadisce le sue idee liberali. Nello stesso anno l'Unione Europea gli assegna il Premio Sakharov per la libertà di pensiero. Acclamato durante la rivoluzione di velluto, dopo la caduta del regime comunista Dubček fu riabilitato ed eletto presidente del Parlamento federale cecoslovacco. In questa veste si batté, come il capo di Stato ceco Václav Havel, contro la divisione della Cecoslovacchia e compì l'ultimo suo atto politico, rifiutandosi di firmare la legge di "lustrazione" (legge 451/1991) sull'epurazione rivolta indifferentemente a tutte le persone compromesse con il precedente regime, nel timore che essa avrebbe creato nel paese un pericoloso clima di vendetta e colpito l'ala dissidente del Partito comunista repressa dopo il 1968, che recentemente si era riorganizzata nella formazione politica Obroda (Rinascita). Morì poco tempo dopo, il 7 novembre 1992, per le ferite riportate in un incidente autostradale avvenuto il 1º ottobre nei pressi di Humpolec. È sepolto al cimitero Slávičie údolie di Bratislava, capitale della Slovacchia.

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